Residenza, domicilio, abitazione tra similitudini e differenze
La convivenza con l’emergenza pandemica ci ha costretti ad adottare una serie comportamenti in linea con le previsioni dei provvedimenti governativi via via emanati e a interrogarci sulle condotte da tenere per non violare le disposizioni e non incorrere nelle conseguenti sanzioni. Tra i vari interrogativi con cui ci confrontiamo ricorre con frequenza quello sugli spostamenti a seconda del “colore” della nostra regione. Ci siamo ormai resi conto che spesso i divieti fanno salva l’ipotesi del “rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione”. Considerato che ad un possibile controllo dovremmo essere in grado di dimostrare la legittimità del nostro spostamento in base ad una di queste tre categorie, siamo sicuri di padroneggiarne le nozioni?
L’art. 43 cod.civ. delinea i concetti di domicilio e residenza definendo il primo come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e la seconda come il luogo in cui ha la dimora abituale. Già da questa prima classificazione emerge come il domicilio possa essere diverso dalla residenza, la quale non coincide con il concetto di dimora.
Per quanto riguarda il domicilio, nella definizione data dal Legislatore si rinviene un elemento oggettivo, rappresentato dalla concentrazione degli affari ed interessi in un luogo, e un elemento soggettivo, dato dall’intenzione di fissare in quel luogo la sede principale delle proprie attività, anche mediante un comportamento concludente. Attenzione: la semplice dichiarazione di volontà di un soggetto non è di per sé sufficiente a creare il suo domicilio perché se manca un tangibile e concreto centro di interessi in un determinato luogo, non si può asserire di avervi fissato il proprio domicilio. La dottrina è divisa sulla portata dell’inciso “affari e interessi”: una parte ritiene che esprima un concetto esclusivamente economico e patrimoniale, mentre per altri deve attribuirsi a tale espressione un significato più ampio, comprensivo delle attività sia di natura patrimoniale, che di indole morale. Quest’ultima corrente di pensiero viene condivisa dalla giurisprudenza che riferisce il domicilio a tutti i rapporti del soggetto, non solo economici, ma anche morali e familiari.
Veniamo alla residenza. Per il codice civile, la residenza è il luogo in cui la persona ha fissato la propria dimora “abituale”. Nel definirla, dunque, si fa riferimento a un elemento obiettivo dato dalla permanenza in un certo luogo e da un elemento soggettivo costituito dall’intenzione di abitare in quel posto stabilmente. La residenza è conoscibile in modo preciso e verificabile, in quanto ciascuna persona fisica è legalmente tenuta ad iscrivere sé e coloro che sono soggetti alla sua potestà o tutela nell’anagrafe del comune di residenza. Attenzione: l’iscrizione nel registro anagrafico non ha valore costitutivo ma semplicemente pubblicitario. In altri termini, le risultanze anagrafiche hanno solo un valore presuntivo e la residenza deve essere accertata come situazione di fatto. Se ci si allontana dalla propria residenza per periodi più o meno lunghi a causa di ragioni di studio, lavoro o altro, questa non viene meno.
Per quanto riguarda l’abitazione non esiste una definizione tecnico-giuridica. Nella sezione FAQ del sito del Governo si legge: “[…]. Ai fini dell’applicazione del dpcm, dunque, l’abitazione va individuata come il luogo dove si abita di fatto, con una certa continuità e stabilità (quindi per periodi continuativi, anche se limitati, durante l’anno) o con abituale periodicità e frequenza (per esempio in alcuni giorni della settimana per motivi di lavoro, di studio o per altre esigenze), tuttavia sempre con esclusione delle seconde case utilizzate per le vacanze”.
Resta esclusa, dunque, la possibilità di considerare le seconde case come luogo di abitazione.
Le seconde case, infatti, rientrano nel concetto di dimora, che volutamente non è richiamato dai provvedimenti governativi. Il codice civile non ne dà una definizione, ma la possiamo desumere dal concetto di residenza, che la presuppone, venendo definita come dimora “abituale”. Per differenza, potremmo dire che la dimora è il luogo in cui la persona abita o permane in modo non abituale.
Dal 16 gennaio, comunque, le disposizioni in vigore consentono il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione, senza prevedere alcuna limitazione rispetto alle seconde case anche in un’altra regione o provincia autonoma.