Le convivenze prima e dopo la legge Cirinnà
Forse non tutti sanno che, sulla spinta dell’evoluzione del costume e come risposta alle istanze avanzate da molti, con la Legge del 20 maggio 2016, n. 76, meglio conosciuta come Legge Cirinnà, sono stati introdotti nel nostro ordinamento il riconoscimento e la tutela delle unioni civili e sono stati formalizzati i rapporti della convivenza di fatto; aspetto, quest’ultimo, che costituirà oggetto del presente intervento.
Stando all’importanza della legge stupisce che consti di un unico articolo, suddiviso in svariati commi: quelli di cui ci occuperemo vanno dal n. 36 al n. 67.
Innanzi tutto, secondo la definizione che si ritrova nel testo normativo “si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. La convivenza di fatto, dunque, si fonda su di un legame affettivo tra persone appartenenti allo stesso sesso o eterosessuali. Un primo interrogativo rilevante attiene al requisito della stabilità della convivenza. Il comma n. 37 dell’art 1 rimanda, per il suo accertamento, alla dichiarazione anagrafica, che consiste in un’autocertificazione in carta libera, presentata al Comune di residenza, nella quale i conviventi dichiarano di convivere allo stesso indirizzo. L’esperienza insegna che non sempre è possibile rendere tale dichiarazione, ad esempio, per l’esigenza dettata da motivi professionali di mantenere residenze separate. Questo non costituisce un ostacolo al riconoscimento della disciplina dettata dal legislatore, perché, a ben leggere, la dichiarazione è vista come elemento utile ad “accertare”, ossia a “comprovare” l’unione affettiva, ma non è richiesta come requisito necessitante: la convivenza può essere provata anche con altri strumenti, comprese le dichiarazioni testimoniali. Resta però il dubbio in merito al requisito temporale; in altri termini, non è chiaro da quanto tempo debba perdurare un’unione per potersi definire stabile. Secondo molti commentatori, perlomeno da due anni.
Quando viene formalizzata nei modi di cui sopra, dalla convivenza di fatto nascono reciproci diritti e doveri, degni di nota, tra cui:
– il diritto reciproco di visita, di assistenza, nonché di accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o di ricovero;
– il diritto di designare (in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone) l’altro convivente quale rappresentante con poteri pieni o limitati:
a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;
– il diritto del convivente di fatto di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, se il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno;
– il diritto di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner, nonché ai beni acquistati con questi ultimi e agli incrementi dell’azienda, in proporzione al lavoro prestato;
– in caso di morte del proprietario dell’abitazione comune, il diritto del convivente superstite di restare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e non oltre i cinque anni e, in caso di presenza di figli minori o disabili, il diritto di continuare a restare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni;
– nei casi di morte del conduttore o di recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha la facoltà di succedergli nel contratto.
Inoltre, in caso di decesso del convivente di fatto derivante da fatto illecito di un terzo, al superstite spetta lo stesso diritto al risarcimento del danno che spetterebbe al coniuge superstite e, non ultimo, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il diritto di ricevere gli alimenti dall’ex convivente, qualora si versi in stato di bisogno e non si sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Naturalmente, parlando di diritti, resta salvo il diritto delle coppie che, pur coabitando sotto lo stesso tetto da anni, non vogliano ufficializzare l’unione. In questi casi continuerà ad applicarsi nei loro confronti la tutela riconosciuta nel corso degli anni da parte della giurisprudenza.