Clausole penali nei contratti professionista-consumatore: l’importanza dell’onere della prova
La disciplina dei rapporti contrattuali che vedono come parti professionista e consumatore è contenuta nel Dlgs 206/2005, meglio noto come Codice del Consumo, diretto a salvaguardare gli interessi e i diritti dei cittadini in veste di consumatori. La ragione della tutela “rafforzata” è intuibile: chi acquista beni e servizi con l’obiettivo di soddisfare le proprie necessità di vita si trova in una posizione di sbilanciamento e svantaggio rispetto al professionista che non solo tali beni e servizi li vende agendo “nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale” (art. 3, I comma, cod. cons.), ma è anche in grado di farlo al meglio attraverso competenze, informazioni, forza contrattuale e finanziaria. E, non ultimo, anche grazie ad appositi corsi seguiti per rendere più incisiva la propria capacità persuasiva.
Seppur il nostro Legislatore si sia interessato solo a partire dagli anni ’80 del consumatore come parte più “debole” del rapporto contrattuale, bisogna riconoscere lo sforzo operato di racchiudere in un unico testo disposizioni precedentemente sparse nel codice civile e in leggi settoriali, armonizzandole con i principi comunitari.
In questa sede porto la vostra attenzione sulle clausole contrattuali che causano un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti a svantaggio del consumatore “malgrado la buona fede” (art. 33 ss. cod. cons.). Si tratta delle cosiddette “clausole vessatorie”, ossia di quelle disposizioni, spesse volte contenute in moduli o formulari messi a disposizione del professionista, che comportano un grave squilibrio nel rapporto contrattuale (cfr. art. 1341 del cod. civ.; artt. 33 ss. cod. cons.).
La sorte delle clausole vessatorie è la declaratoria di nullità, mentre il contratto rimane valido per il resto.
L’art. 33 cod. cons. contiene una sorta di lista grigia di clausole che si presumono vessatorie fino a prova contraria. Tra queste, cito la lettera f), quelle che hanno per oggetto, o per effetto, “di imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo”. L’ambito di applicazione non è da considerarsi letterale; ad esempio, si estende anche all’ipotesi di recesso dal contratto. A parte l’ampia giurisprudenza che si riscontra sul significato da attribuirsi alla “eccessiva” onerosità, un aspetto interessante è offerto dalla possibilità, ove trattasi di penale, di lasciare al Giudice la possibilità di ridurla ai sensi dell’art. 1384 cod. civ., per cui: “La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”.
In base al successivo art. 34 cod. cons., per quanto mi preme evidenziare, non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale e, nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista l’onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
Quindi, se vi doveste trovare davanti ad un modulo con l’importo della penale già fissato o con uno spazio in bianco in cui dover riportare la cifra indicata dal professionista senza margine di trattativa, e magari, nella prima ipotesi, vi fosse richiesto di sottoscrivere il documento ai sensi dell’art. 1341 cod. civ., non avreste più alcuna possibilità di sottrarvi al pagamento di una penale iniqua?
A parte che sarebbe meglio prendersi del tempo per riflettere e solo successivamente, avute le informazioni del caso, decidere se impegnarsi o meno, la risposta non è negativa e questo grazie alla ripartizione dell’onere della prova. In caso di contestazione, infatti, spetta al professionista e non al consumatore offrire la prova che sia intervenuta una trattativa, una negoziazione specifica, caratterizzata dagli indefettibili requisiti della individualità, serietà ed effettività (v. Cass. civ., 20.3.2010, n. 6802; Cass. civ., 26.9.2008, n. 24262). Ricordate, però, che prevenire è meglio che curare.